Mimo

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Il termine deriva da una radice indoeuropea *mi-ma = ‘misurare’; attraverso la versione greca (mîmos) e quella latina (mimus) si è costituito il significato di ‘imitare’, e dunque di ‘imitatore’. ‘Mimo’ ha originariamente indicato una forma di spettacolo di genere farsesco e popolare, di cui si hanno testimonianze già nell’antica Grecia; il primo autore di m. (mimografo) di cui è rimasta traccia è Sofrone di Siracusa (sec. V a. C.), ma le prime testimonianze documentarie di questo genere appartengono a Eroda (o Eronda), vissuto attorno al 250 a.C. Il m. fu importato a Roma dove riscontrò gran favore di pubblico. Con il tempo questo spettacolo si caratterizzò sempre più per la bravura degli interpreti che assommarono in sé tutti gli aspetti della rappresentazione: l’attore, che già da tempo aveva delegato la parola ad altri che ‘cantassero’ per lui, finì con l’eliminare del tutto la parola stessa per rappresentare tutta l’azione con i suoi soli gesti. Il m. diventava così ‘pantomima’ (panto, in greco sta per tutto).
Il senso di una rappresentazione priva di parola è rimasto nell’accezione corrente del termine con il quale si indica, appunto, un attore che non faccia uso di parola, interprete di pantomime.

L. D.

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Mimo, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (22/12/2024).
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